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CILS, Francesco Meloni - foto di @fernando_pascualph (4)

Alla scoperta di Vivre e di come si crea una serie di lavori

Prosegue l’intervista a Francesco Meloni, artista poliedrico la cui opera block#S4 fa parte della nuova campagna firmata MADI Comunicazione per la seconda edizione di (un)fair Milano (3/5 marzo, Superstudio Maxi). Abbiamo posto a Francesco una serie di domande per farvelo conoscere, e per raccontarvi alcune interessanti curiosità sulle sua vita, la sua estetica e il modo in cui realizza le sue opere. In particolare, gli abbiamo chiesto di parlarci della serie Vivre, per capire tutto lo studio, la creatività e la pianificazione che stanno alla base di un progetto così importante.

L’opera che abbiamo selezionato per la nostra campagna è tratta dalla serie Vivre. Ci parli un po’ della serie?

Vivre ha seguito un’evoluzione naturale della mia ricerca, continuando a valorizzare l’operaio e il lavoro, osservando però come l’energia impressa dagli atti costruttivi resti negli ambienti e permei le vite di coloro che li abitano. Ad esempio, come spiegava Adolf Loos sul tema del Raumplan, tali spazi abitativi rendono voce psicanalitica di chi desidera e progetta la casa, diventando specchio di una soggettività mutevole. In questo senso, mi sono chiesto del perché non estendere l’idea che una parte del lavoro operaio possa avere voce nelle vite e nelle relazioni di chi abita gli spazi.

Da qui è partito il progetto della serie “Vivre. Tra spazi abitativi e relazioni umane”, in cui il cemento diviene materiale principale che mi ha consentito plasticamente di ipostatizzare il lavoro nel vivere. Le opere descrivono questa sistematicità attraverso l’inserimento di dettagli architettonici e d’arredo come segni che richiamano sia l’ambiente urbano esterno che lo spazio interno. Si delinea così una casa in cui la quotidianità è frutto del dialogo tra dentro e fuori, tra vita sensibile e psichica, tra vivere e vita, con il lavoro operaio come elemento catalizzante che si reifica nel vivere umano.

Utilizzando questo paradigma strutturale, ho applicato sul cemento elementi in legno per riprodurre i tetti a falde, decorazioni tramite stencil che richiamano gli interventi urbani liberi sui muri o i rivestimenti murali interni. Ho applicato anche tessuto di finta pelliccia e filo da cucito che rievocano il calore interno della casa e, con questo, l’esperienza tattile dell’habitat.

Il passo successivo di Vivre è il nuovo progetto “Cils. Per un’immaginazione del reale, tra gusto e lavoro”. Cils è una parola che proviene dal francese e significa ciglia. Utilizzando la metafora delle ciglia presenti nelle papille gustative e le ciglia dello sguardo – a rappresentare il processo sinestesico del “vedere un sapore” – ho immaginato due operai nel loro momento di pausa all’interno di un cantiere, mentre assaporano alcune caramelle. La gustosità attiva tutta una serie di processi e stimola l’immaginazione che consente agli operai di proiettarsi in altri mondi possibili e impossibili.

La serie Cils rievoca le proiezioni oniriche dei due protagonisti, basandosi sull’idea del cantiere classico. Nei vari Blocks (ogni opera è un Block) sono passato dall’uso delle piastrelle come ambiente neutro, al legno come rasatura sul cemento, all’uso delle lastre di bugnata trasformato in ornamento superficiale, fino del tessuto acrilico che ritorna come un arredo avvolgente, un animale, un organo vivente. Come ultimo dettaglio ho scelto di mascherare i tondini di ferro, elemento strutturale del cemento armato, come fossero bastoncini di zucchero, rispettando la colorazione originale: sono la metafora del gusto che consente l’immaginazione operaia.

Considerando tutto lo studio, la creatività e il lavoro che c’è dietro, quanto tempo impieghi per realizzare un’opera, e quanto ti ci è voluto invece per preparare un progetto come Vivre?

Per un’opera mediamente impiego dai 15 ai 30 giorni. Invece per Vivre ci sono voluti circa 15/18 mesi. Per il nuovo progetto Cils ho impiegato meno perché è complementare a Vivre, quindi tra i 10 e i 12 mesi di tempo per preparare e terminare il progetto.

In che modo nasce e ‘finisce’ una serie di lavori?

Specialmente negli ultimi anni i progetti sono strettamente connessi tra loro. Non parlerei quindi di nascita, ma di prolungamento della narrazione che consente al tema di trasformarsi in maniera continua. Solitamente l’atto creativo può partire da un pensiero casuale: un sogno, un momento della giornata nel quale non mi aspetto nulla. Non riconosco abitudini o regole particolari, ma sento come una sorta di ossessione perpetua che rielabora ogni volta in maniera nuova i temi principali del mio lavoro.

Dopo che l’idea ha innescato il progetto, mi metto alla ricerca di uno o più autori che possano aiutarmi ad ampliare il pensiero. Inizio così una lunga fase di studio, spaziando dall’architettura alla psicologia, dalla biologia alla filosofia, dallo sport al design. Generalmente compro un piccolo quaderno a cui dedico tutto il progetto, e lo trasformo in una guida personale fatta di appunti e schizzi, con i quali mi salvo dalla mia pessima memoria.

Prima di iniziare la produzione vera e propria, passo alla ricerca del luogo fisico nel quale allestire lo studio, che non è mai lo stesso. Ragiono su come dovrà essere lo spazio di lavoro, faccio un giro di telefonate e mail. Alla fine qualcuno risponde, e sarà cosi gentile da avermi tra i piedi per almeno 11/18 mesi!

Prima di entrare in studio faccio grande ricerca di materiali, poi acquisto il cemento e sono pronto ad avviare la produzione. Trovo una forma comune, creo uno o più casseri e mi focalizzo completamente sul primo pezzo, che io chiamo “muletto” perché lo carico di tutte le possibili varianti plastiche, su cui faccio tutti i test dei materiali, delle colle, delle vernici. Dal “muletto” cerco di capire anche il riflesso della coerenza estetica tra opera e progetto.

Giorno dopo giorno mi occupo degli inserti che possono avere una forte funzione metaforica, e collaboro con Laura Affinito, la designer che ha sviluppato la texture ripetuta in Vivre (e che cura la parte grafica in generale). Poi c’è tutta la parte extra-studio, in cui lavoro nelle carrozzerie, nelle falegnamerie e nelle officine meccaniche quando occorre. Infine, terminate le opere, lavoro sulle rifiniture, preparo tutto per lo shooting fotografico e la messa a punto dei dettagli del catalogo.

C’è una serie in particolare a cui sei più o meno legato?

Si, sono legato tantissimo ad un opera della serie Vivre, la Block #S23, probabilmente sia perché è stata l’opera su cui ho riposto tutta la prima sperimentazione del progetto, sia perché mi ricorda un autore che avevo dimenticato: il botanico Patrick Blanc, inventore dei giardini verticali.

Avevo conosciuto il suo lavoro in Francia nel 2006 ed ero rimasto ammaliato dalla sua facciata del Musée du Quai Branly. Mi interessava la sua ricerca svoltasi nelle giungle tropicali e nelle foreste pluviali di tutto il mondo, che gli aveva consentito poi di realizzare giardini e spazi verdi capaci di rivoluzionare l’architettura moderna e del paesaggio. Sono molto legato a quell’opera perché mi porta altrove, verso il periodo dei viaggi, e mi riconnette ai temi a me più cari.

 

Photo credit: Fernando Pascual – @Fernando_pascualph

 

Leggi qui la terza e ultima parte dell’intervista per scoprire, con le parole di Francesco, come si possono leggere e interpretare i lavori di un artista.

 

(un)fair
(un)expected art fair

3-5 Marzo 2023
Superstudio Maxi
Milano
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